Da mesi prolificano sul web e sulla carta stampata articoli riguardo la diffusione della minacciosa “ideologia gender” suscitando polemiche e vani timori.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza e prendere una posizione al riguardo perché questo tema non è affare solo di istituzioni, famiglie e parrocchie ma coinvolge tutti noi poiché riguarda l’idea della società nella quale vogliamo vivere e vorremmo far vivere le future generazioni.
Innanzitutto chiariamo che non esiste un’ideologia gender semmai esistono gli studi di genere (o gender studies) campo interdisciplinare che si occupa della costruzione sociale e culturale del genere maschile e femminile e delle relazioni tra essi.
Al fine di fare un po’ di chiarezza su concetti molto complessi possiamo sinteticamente dire che: il termine “identità” indica in senso generale il modo in cui una persona si definisce. L’identità è influenzata, nella sua formazione, da fattori organici, quali: il sesso cromosomico e il sesso anatomico (gonadico, germinale, endocrino); e da fattori psicologici quali: il sesso legale, il sesso psicologico, il sesso sociale, il sesso di assegnazione al momento della nascita ed il sesso determinato dall’educazione ricevuta nell’infanzia.
L’identità si distingue in identità di genere e in identità di ruolo. Per identità di genere si intende la coscienza di essere maschi o femmine, mentre, l’identità di ruolo è costituita dai ruoli di genere. I ruoli di genere prescrivono il modo in cui un maschio o una femmina “dovrebbero” comportarsi, ossia prescrivono i ruoli, e i comportamenti ad essi legati, che ci si aspetta che un maschio e una femmina assumano in seno alla famiglia e alla società.
Quando si parla di genere, in questo campo di studi, ci si riferisce a una costruzione socio – culturale ed è diverso dal sesso poiché questo è determinato alla nascita: si nasce maschi e femmine (non sempre, pensiamo all’intersessualità) ma si diventa uomini e donne sotto l’influenza sociale, in un determinato periodo storico e culturale portatore di regole che plasmano i ruoli maschili e femminili.
Capisco bene la difficoltà di entrare in un’ottica di questo tipo poiché non è così diffusa (purtroppo) ma ciò che mi rimbalza in testa in queste settimane è un episodio al quale ho assistito personalmente in una classe di scuola elementare e che forse potrebbe aiutare nella comprensione di questa trattazione. Bambina dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia svolge un compito che era stato assegnato a tutta la classe: disegnare due figure umane, una maschile e una femminile. Questa bambina mostra il disegno alla maestra che la rimprovera (e aggiungerei mortifica) poiché il disegno della figura femminile non era abbastanza femminile: capelli corti, non aveva la gonna, scarso uso del colore rosa. Ecco, in un attimo ho assistito alla castrazione della libera immaginazione ed espressione di una bambina che alla sola età di 5 anni ha imparato presso una delle agenzie educative più importanti della sua vita che ci si deve adattare a dei modelli prestabiliti e che il più delle volte si basano sul genere. Basti pensare ai negozi di giocattoli, alla differenza di offerta per maschi e femmine, pensiamo a quanti di noi regalano a un bambino una bambola che dice di avere fame o a cui bisogna cambiare il pannolino o quanti di noi regalano le macchinine a una femminuccia.
Ritornando alla bambina di prima, mi chiedo, come si può volere che a 5 anni venga mortificata la sua libertà di espressione per imporle faticosamente di rientrare in canoni prestabiliti per poi, magari, con altrettanta fatica ritrovarsi a combattere gli stessi modelli e tentare di liberarsene da adulta?
È proprio qui che si palesa l’importanza di un’educazione di genere, nella possibilità di fornire conoscenze e una capacità critica a bambini/e in modo da assicurare una sana e libera crescita psicologica, emotiva, relazionale e sessuale. Una crescita libera da pregiudizi e stereotipi. Una critica frequente nei confronti dell’educazione di genere è “perché iniziare da un’età così bassa come quella dei bambini delle scuole materne?”. La risposta migliore ce l’ha offerta la dottoressa Emma Baumgartner, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma la quale, in un articolo uscito sul Fatto Quotidiano, ha dichiarato come i pregiudizi di genere si formino molto presto nei bambini, cioè dai 3 ai 5 anni. A suo parere le differenze sessuali si trasformano in stereotipi molto presto, basti pensare ai colori rosa per le femmine e azzurro per i maschi o pensiamo ai giocattoli, bambole per lei macchine per lui. Inoltre c’è da tenere in considerazione l’influenza del contesto familiare con il proprio linguaggio, gli atteggiamenti degli adulti. A questo aggiungerei quanto sostenuto dall’AIP, Associazione Italiana di Psicologia, secondo la quale:
“Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni e mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo. La seria e appropriata diffusione di tali studi attraverso corrette metodologie didattico-educative può dunque offrire occasioni di crescita personale e culturale ad allievi e personale scolasticoe a contrastare le discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale nei contesti scolastici, valorizzando una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della nonviolenza”.
L’educazione sessuo-affettiva viene ancora vista come una minaccia che mina la sicurezza dei modelli sovraordinati e la cultura binaria di cui siamo pervasi. È ancora diffusa l’idea di un “dover essere” piuttosto che l’idea del “sii te stesso” in maniera consapevole e libera. Da adulti di riferimento delle giovani generazioni abbiamo l’obbligo di fornire strumenti, conoscenze, dare risposte appropriate e sostenerli nella costruzione della loro identità in modo che possano gestire consapevolmente e liberamente la propria vita.
Dott.ssa Simona Fiorucci