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Istituto Integrato di Ricercae Intervento Strategico

Ascoltare i bisogni è il nostro pallino, ideare le strategie per soddisfarli la nostra passione.

L’Istituto è Integrato perché abbiamo sempre pensato che il nostro contenitore/nido dovesse partire da un concetto di integrazione. Sosteniamo il pensiero divergente e ci poniamo in confronto continuo con specialisti e specialiste di discipline diverse (medici, psichiatri, antropolog*, sociolog*, filosof*, economist*, ecc.) per essere pronti a lavorare con efficacia sulla clientela più varia, altrettanto pronta all’integrazione e alla flessibilità necessaria al cambiamento che promuove il modello strategico.

Il modello teorico di riferimento è quello della terapia strategica secondo la visione originaria di Milton Erickson e del suo gruppo, che si fonda su un concetto generale di integrazione, accettazione dell’altro e di utilizzazione. Partiamo dunque da una base teorica precisa, la psicoterapia strategica, ma non ci irrigidiamo su questo modello anzi abbiamo sempre uno sguardo curioso che vuole andare oltre il proprio orizzonte per migliorare l’intervento usando ciò che di buono viene usato anche fuori dal mondo strategico.

Quando abbiamo pensato e scelto il nome era importante che si avvertisse il nostro sguardo aperto e curioso, sempre alla ricerca di strumenti efficaci per il proprio intervento e che fosse allo stesso tempo forte il tema della strategica.

Spiegare i motivi di certe scelte, assolutamente di senso, non può essere fatto in due righe. Il nostro padre teorico, Milton Erickson è stato un personaggio unico, dalla mente geniale e di grande umanità, un esempio di persona resiliente che ha passato la vita a trasformare i problemi in strumenti per cambiare.

Questo è lo spirito che guida l’anima dell’IIRIS.

Ci rivolgiamo a coloro che hanno voglia di un cambiamento nella loro vita personale, professionale o relazionale. Alle persone resilienti e a quelle che vogliono imparare ad esserlo. A chi ha bisogno di un obiettivo ma anche a chi vuole fermarsi e riflettere prima di raggiungerlo.

L’indirizzo teorico-metodologico del modello Strategico: tra tradizione ed evoluzione

L’indirizzo teorico-metodologico del modello Strategico: tra tradizione ed evoluzione

Francesca Mastrantonio e Andrea Stramaccioni

L’approccio strategico, in campo psicoterapeutico, è una vera propria scuola di pensiero su come gli esseri umani si rapportano alla realtà, ossia su come ognuno di noi si relaziona con se stesso, con gli altri e con il mondo circostante. Il modello strategico viene proposto e divulgato dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto, quali Watzlawick, Weakland, Fisch e ai contributi tecnici di Milton Erickson (Watzlawick, Nardone, 1997).

Ciò che guida questo gruppo di ricercatori è l’approccio costruttivista alla realtà, ovvero il mondo è la conseguenza dell’esperienza umana e non la sua causa. Questo implica l’abbandono di una ricerca della verità oggettiva, a favore di un’analisi e di un’osservazione della soggettività degli osservatori, incluso il terapeuta.

Sul piano teorico c’è un recupero di una visione olistica della persona e del suo ruolo attivo di “inventore della realtà” (Watzlawick, 1981), s’interpreta l’uomo come costruttore di significati e l’ambiente come universo di simboli e di esperienze. I significati sono, dunque, frutto di narrazioni tipiche dell’essere umano che si creano sotto l’influenza della cultura e del contesto (Bruner, 1992).

Sono, infatti, le narrazione ad organizzare l’esperienza e i racconti che ne fanno parte si occupano, nella maggioranza dei casi, di come i protagonisti interpretano le cose e di quali significati le cose hanno per loro.

Il modello strategico consente di lavorare in modo efficace e multidimensionale sul singolo, sul gruppo e sulle organizzazioni perché lavora su più ottiche, in una prospettiva non solo intra-individuale, ma interindividuale e sistemica.

Si centra sulla modalità con cui la persona interagisce con se stessa e con gli altri nella propria realtà.

In questa “filosofia”, il concetto di realtà è associato alla responsabilità delle proprie azioni: la realtà, infatti, non è mai una realtà “a priori”, ma una realtà conosciuta e creata da noi.

La logica di tipo ipotetico-deduttivo di origine aristotelica viene superata anche in psicoterapia, in modo da garantire l’adattarsi della soluzione al problema.

I ricercatori del Mental Research Institute si focalizzarono su come le persone costruiscono significati nell’interazione col contesto e non sul perché lo facciano, attribuendo al pensiero soggettivo il mantenimento o il superamento del problema.

Ne deriva, pertanto, un approccio ai problemi umani focalizzato sul qui ed ora e centrato sull’assetto attuale della vita del paziente con un occhio al futuro.

Per De Shazer il futuro è il tempo in cui si sviluppano modalità di soluzione diverse dai comportamenti che alimentano il problema presente.

L’approccio strategico ha vantaggi in termini di:

  • Efficacia, in quanto consente una rapida ristrutturazione dei problemi e dei sintomi;

  • Economicità, in quanto più breve rispetto agli altri modelli;

  • Flessibilità rispetto alle caratteristiche personali del terapeuta e del cliente (De Leo, 2003).

Nell’approccio strategico le relazioni che si vengono a stabilire all’interno del processo terapeutico dipendono, in buona parte, dall’interazione delle diverse personalità del paziente e del terapeuta il quale partecipa, in un’ottica di CO-COSTRUZIONE, al processo di cambiamento insieme al paziente, astenendosi dall’aderire rigorosamente e dall’applicare in maniera inflessibile schemi rigidi e stereotipati (M. Erickson, 1980). Un protocollo rigido non dà le soluzioni al problema.

Questa affermazione contraddistingue l’approccio strategico originariamente sviluppatosi dai lavori di Watzlawick, Weakland, Fisch, Haley, Erickson e collaboratori.

Negli anni successivi, in particolare nel contesto europeo ed italiano questo approccio è stato proposto da molti grandi professionisti. In Italia, ricordiamo il prof. G. Nardone che, attraverso i suoi studi, ha sviluppato un modello di psicoterapia strategica marcatamente contraddistinto dalla brevità degli interventi, da un focus attentivo circoscritto al sintomo e dall’utilizzo di protocolli studiati per la risoluzione di specifici sintomi.

L’IIRIS – Istituto Integrato di Ricerca ed Intervento Strategico, vuole spostarsi da questa recente impostazione e riavvicinarsi alle radici teoriche della psicoterapia strategica. L’IIRIS attinge idee e tecniche dalle ipotesi di lavoro del gruppo di Palo Alto e in particolare da Milton Erickson, Jay Haley e coll. i quali valorizzarono, non solo il sintomo, ma la relazione con il paziente, intesa come il motore del cambiamento. All’interno della relazione terapeutica l’intento dello specialista è quello di favorire il cambiamento nella vita del paziente al fine di offrirgli nuovi punti di vista e nuove possibili soluzioni ai problemi proposti.

Nella tradizione strategica non sono menzionati protocolli precostituiti, così come la moderna impostazione propone, ma lo specialista costruisce dei piani di azioni creati sulla base del problema presentato dal paziente. È lo psicoterapeuta che sviluppa e cuce il piano di trattamento sull’esperienza del paziente, così come fa il sarto quando confeziona al suo cliente un vestito su misura. Dunque, non è il paziente che si adatta al modello, ma è il modello che si adatta al paziente.

Per questo motivo, in questo recupero della tradizione strategica, l’integrazione con altri modelli è sempre auspicabile. Integrare consente, infatti, di ampliare le conoscenze tecniche e teoriche dello specialista che è aperto e flessibile al fine di favorire il cambiamento, obiettivo principale del trattamento.

Questo ritorno alla tradizione fa emergere una visione della psicoterapia strategica che possiamo definire, paradossalmente, evoluta in cui sono valorizzati i seguenti aspetti:

  • La relazione terapeutica;

  • Il focus del trattamento sul cambiamento;

  • La ristrutturazione del passato del paziente;

  • La costruzione di piani di trattamento personalizzati e focalizzati;

  • L’individuazione di obiettivi chiari e concordati con il paziente;

  • L’utilizzo delle tecniche strategiche ben integrate con altre tecniche ed intuizioni di approcci affini.

Oggi integrare conoscenze e pratiche raggiunte grazie al contributo di tutti i modelli nel loro insieme, rappresenta senza dubbio la scelta più moderna e utile. Perciò quando parliamo di psicoterapia strategica evoluta ci riferiamo a una formazione che includa ogni prospettiva utile, nell’interesse del paziente e a seconda delle sue necessità.

Questa impostazione consente al terapeuta di scegliere la strategia di lavoro migliore per raggiungere efficacemente la risoluzione dei problemi che i clienti portano, evitando le classiche rigidità di setting (Watzlawick, Nardone, 1997).

Sulla base di ciò la psicoterapia strategica integra i diversi indirizzi metodologici post-strutturalisti di terapia breve, quali:

  • L’approccio di terapia breve focalizzato sul problema;

  • L’approccio di terapia breve focalizzato sulle soluzioni;

  • L’approccio narrativo.

Questa integrazione rende l’approccio strategico aperto al confronto e alla ricerca di soluzioni/cambiamenti.

Le moderne evoluzioni di questo approccio sviluppano ulteriormente la sua peculiare flessibilità attraverso la costruzione di obiettivi e metodi orientati ad un consolidamento dei risultati strategici rispetto alla personalità e ai problemi esistenziali del cliente, in modo che il superamento del sintomo si integri nei processi di cambiamento e di attivazione delle risorse personali del soggetto portatore della domanda e del problema (De Leo, 2003).

Sulla linea di questa flessibilità e al fine di offrire una prospettiva aperta e di sintesi, sia da un punto di vista teorico che delle tecniche d’intervento, l’IIRIS – Istituto Integrato di Ricerca e Intervento Strategico si propone di utilizzare strategicamente anche conoscenze e metodologie di approcci storici, ma diversi da quello strategico (come l’approccio sistemico-relazionale, psicodinamico e cognitivo-comportamentale), confermando la tendenza di questo metodo a proporsi come approccio che si costituisce sulla base degli obiettivi da raggiungere e non sulla scia di una teoria da difendere.

1.1. L’evoluzione

Da quanto esposto fin d’ora possiamo iniziare a mettere in evidenza gli aspetti caratterizzanti l’approccio strategico evoluto alcuni dei quali rappresentano dei punti di contatto con la grande famiglia delle psicoterapie brevi altri invece ne delineano delle differenze.

Primo importante aspetto caratterizzante si può individuare nel focus del trattamento. La Psicoterapia strategica evoluta (che per comodità d’ora in avanti definiremo con l’acronimo P.S.E.) come tutte le terapie brevi non usa l’analisi del profondo come tecnica di lavoro d’elezione, ma si sofferma su un focus centrale.

Il focus, in linea con l’epistemologia interazionista, è individuabile attraverso l’analisi degli stili relazionali del paziente e delle dinamiche sottostanti alla base delle quali si possono individuare i motivi che hanno generato il sintomo e dato vita al circolo vizioso. Nella vision dell’approccio strategico i sintomi si generano all’interno di un contesto familiare che vive una difficoltà in una fase specifica del ciclo di vita della famiglia tale da bloccare il passaggio da una fase a quella successiva (Haley, 1973).

Secondo Milton Erickson, infatti, i sintomi compaiono quando c’è una deviazione o un’interruzione del normale svolgimento del ciclo vitale di una famiglia o di un gruppo naturale; un sintomo è quindi il segnale che una famiglia ha difficoltà a superare uno stadio di questo ciclo e in particolare compare quando una persona si trova in una situazione impossibile e sta tentando di uscirne (Haley, 1973).

In questa prospettiva la psicoterapia ha successo quando riesce a far cambiare la vita di un paziente in modo tale che egli possa sfruttare al massimo le sue capacità potenziali ed evolvere nel processo del ciclo vitale (ibidem).

Il cambiamento di vita può manifestarsi in piccole ma significative modifiche nello stile comportamentale, in questa sede declinabile come tendenza alla sfida, all’ironia, alla seduzione, alla svalutazione, all’aggressione, all’evasione, e quindi nello stile relazionale declinabile in questa sede come dinamiche di potere, di dipendenza, di evitamento, di attaccamento, ecc.

Diversamente dall’approccio strategico l’obiettivo della Psicoterapia Strategica Evoluta non si esaurisce nella rottura del circolo vizioso e delle tentate soluzione che hanno cristallizzato il problema, ma prosegue nella fase di consolidamento del comportamento nuovo più funzionale al precedente che consente al paziente di ottenere ciò che prima raggiungeva faticosamente attraverso il sintomo.

Alla base di questa affermazione vi è il presupposto che il sintomo ha una dimensione di utilità. Rappresenta il sistema attraverso cui il paziente si è mantenuto in equilibrio precario e si è garantito uno stato di sopravvivenza. Il sintomo comporta dunque dei vantaggi e rappresenta una strategia per risolvere i problemi (Nardone e Watzalawich, 1990). Dovrebbe essere per cui compreso dal terapeuta anziché sconfitto.

Come in tutte le terapie brevi la P.S.E. presuppone la partecipazione attiva del terapeuta che si assume la responsabilità di influenzare direttamente le persone (Haley, 1973). Nel lavoro dello specialista è spiccata la propensione a favorire il cambiamento del paziente verso comportamenti più funzionali all’interno di una relazione terapeutica accogliente e accettante.

La relazione terapeutica è uno strumento centrale nel processo di influenzamento terapeutico e di cambiamento. Il concetto di “esperienza emozionale correttiva” elaborato da Alexander (Flegenheimer, 1982) spiega perfettamente il filo rosso che lega lo psicoterapeuta strategico evoluto al paziente nella relazione terapeutica. La relazione terapeutica diventa uno strumento di cambiamento quando il paziente può ri-esperire il proprio bisogno, o come lo definisce Alexander il proprio conflitto originario, all’interno di una relazione di cura che offrirà una risposta più favorevole al suo bisogno e genererà una forma di apprendimento sulle relazioni in generale (ibidem). Questa esposizione in vivo del paziente all’”esperienza emozionale correttiva” consentirà al paziente di costruire un nuovo modo di narrare la sua storia e di sviluppare nuovi stili comportamentali e relazionali perché nuova è l’esperienza fatta.

Alla base del lavoro sulla relazione terapeutica risiedono tutti i principi ericksoniani, primi fra tutti la valorizzazione delle risorse del paziente e l’utilizzazione di tutto ciò che porta in seduta. All’interno della relazione terapeutica il paziente è vissuto nella sua unicità per cui sarà unico e personalizzato il suo trattamento.

Ne consegue la tendenza della P.S.E. a non definire un numero di sedute prestabilito, salvo rare eccezioni.

Queste eccezioni hanno funzioni strategiche, termine inteso in questo caso con il suo significato letterale. Fra le eccezioni rientrano quei pazienti che per la loro struttura di personalità o per il sintomo portato hanno bisogno di una cornice forte e di un limite chiaro, quasi sfidante, entro cui poter cambiare. Il limite di tempo diventa, in questi casi, funzionale per spingere il paziente a cambiare. In pazienti con caratteristiche di dipendenza, con una sintomatologia cronicizzata e una storia di drop-out terapeutici, per esempio, il limite imposto dal terapeuta, entro cui si devono realizzare certi specifici cambiamenti, agisce potentemente quando è posto come condizione di interruzione del trattamento. Raggiunto il cambiamento, non si concluderà il trattamento, anzi. Da questo primo cambiamento si potrà sviluppare un nuovo obiettivo di lavoro e proporre un contratto rinnovato.

Partendo da questi aspetti caratterizzanti possiamo affermare che l’approccio strategico nella sua forma più evoluta rientra nella categoria degli approcci di terapia breve per via di:

  • Una partecipazione attiva del terapeuta;

  • Una definizione di un focus centrale che diventa un obiettivo di lavoro.

Emergono però delle differenze sostanziali che la allontanano da questa categoria, ossia:

  • La relazione terapeutica assume un ruolo centrale nella terapia e ne diventa uno strumento; questo modo di considerare la relazione terapeutica crea una distanza da altri modelli di terapia che si focalizzano solo sul sintomo;

  • L’elemento temporale della terapia non è un fattore determinante nel trattamento come accade invece in molte terapie brevi distanti dalla matrice psicoanalitica.

La P.S.E. si pone come obiettivo generale l’efficacia del trattamento più che la brevità dello stesso.

In questa logica la P.S.E. diventa breve perché l’intervento è efficace, ossia in grado di produrre pienamente l’effetto richiesto o desiderato (Treccani).

Questa affermazione apre anche una riflessione su cosa si intende per intervento efficace.

Dal punto di vista della P.S.E. un intervento è efficace quando il trattamento consente di avviare nella prima fase della terapia dei micro cambiamenti che donano al paziente un sensazione di benessere e una percezione di maggior controllo sulla sua sintomatologia. La sintomatologia non è sparita ma è cambiato il modo in cui viene percepita.

In questa condizione del tutto nuova il paziente non si racconta più come alla merce’ del sintomo, ma inizia ad osservarlo e descriverlo con occhi differenti, attraverso cui è possibile osservare il problema con presupposti nuovi partendo da punti di vista mai considerati prima.

Come diceva Proust “l’unico vero viaggio verso la scoperta, non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi ma nell’avere nuovi occhi”.

Quali sono quindi le condizioni che rendono efficace questo tipo di trattamento terapeutico?

Per rispondere a questa domanda molto utili sono le parole di Lazarus che esprimono in modo semplice ed esaustivo questo concetto, pur non essendo uno psicoterapeuta ad impostazione strategica: “una terapia efficace richiede l’uso di tecniche appropriate, adoperate correttamente, all’interno di un contesto caratterizzato da una relazione di fiducia e di cura. La relazione serve a educare, motivare, generare, formulare e separare i problemi e le soluzioni” (Lazarus, 2003).

Sulla base di quanto esposto fin d’ora possiamo delineare i prerequisiti di un intervento efficace in chiave strategica evoluta che rientrano nei seguenti:

  • La gestione del colloquio orientata alla ricerca di cambiamenti;

  • La valutazione del paziente focalizzata non solo all’individuazione di una diagnosi ma a capire se il paziente sarà in grado di affrontare una terapia con queste caratteristiche;

  • La conduzione attiva del terapeuta.

La conduzione di una psicoterapia strategica sostiene la necessità di uno psicoterapeuta che si assuma responsabilmente e coscientemente il potere conferitogli dalla relazione e lo utilizzi a favore del paziente, pianificando interventi attivi e mirati alla soluzione del problema.

La terapia strategica prevede un/una terapeuta direttivo/a che mantiene e gestisce la relazione attraverso prescrizioni, suggestioni e ingiunzioni paradossali, un tecnico in grado di incidere concretamente e rapidamente sulla struttura del problema.

La direttività verrà dosata per calibrare la distanza emotiva rispetto al paziente e scegliere l’atteggiamento da adottare per promuoverlo e nel tempo più breve possibile e, soprattutto, in modo stabile e durevole.

Lo lo stile del/della terapeuta strategico/a evoluto/a varia a seconda del caso e della sua evoluzione dinamica e si modula lungo il percorso, divenendo sempre meno direttivo in relazione ai progressi del paziente.

Ruolo del/della terapeuta strategico/a è, dunque, quello di organizzatore di una conversazione in un’atmosfera in cui differenti punti di vista possono essere presi in considerazione in modo non difensivo.

La terapia si concentra quindi sull’uso della comunicazione e del suo ruolo fondamentale nel rapporto con gli altri e il lavoro terapeutico consiste nel ri-raccontare la storia cambiando il significato dei suoi contenuti; consiste, inoltre, non nel ricercare la verità o nell’indirizzare la terapia verso ciò che è giusto, ma piuttosto nel creare quelle condizioni di apprendimento in cui qualcosa di diverso e adeguato alle idiosincrasie del paziente, possa sostituire i suoi sintomi e la sua sofferenza.

La terapia strategica è un intervento orientato alla eliminazione del sintomo e alla risoluzione del problema presentato dal paziente; il suo approccio si esprime, come si accennava, nella ristrutturazione modificata dei modi di percezione della realtà e delle conseguenti reazioni del paziente.

In questo intervento il terapeuta sposta il focus della sua attenzione dalla storia del paziente al qui ed ora cercando di capire il come di un problema piuttosto che il perché.

In breve la logica strategica consente di:

  • Costruire modelli rigorosi sulla base degli obiettivi da raggiungere piuttosto che sulle indicazioni di una teoria a priori;

  • Superare la logica di tipo ipotetico-deduttivo in modo da garantire l’adattarsi della soluzione al problema;

  • Produrre una costante autocorrezione del modello di intervento sulla base degli effetti rilevati durante il processo interattivo;

  • Rendere rigorosa all’interno del contesto terapeutico, l’utilizzazione di procedimenti logici non ordinari che permettano di costruire stratagemmi realmente in grado di rompere quegli equilibri, percettivo-patogeni che solitamente resistono al cambiamento indotto mediante una logica ordinaria;

  • Provocare una concreta esperienza emozionale correttiva che potrà essere facilmente potenziata incrementando le azioni e gli atteggiamenti “come se” del paziente, fino alla costruzione di una nuova realtà funzionale che andrà a sostituirsi a quella precedente.


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